martedì 15 marzo 2011

118/b


Il primo uomo che, avendo recinto un terreno, ebbe l'idea di proclamare "questo è mio" e trovò altri così ingenui da credergli, costui è stato il vero fondatore del Bagno Marcello 118/b.
Spanne di oasi a un tot al giorno, seconda sdraio omaggio, bar "MaraKech" di Ottone Mara, conduzione familiare da tre generazioni, pista da bocce, bocce da manuale, manuale d'amore.
Intervallo.
Marcello fa schioccare l'elastico sulla pancia gonfia e dura mentre scruta l'orizzonte: lo guarda sfocarsi evanescente nel calore del dopopranzo, quando al bagno scendono solo donne giovani (troppo o troppo poco), lo guarda tremolare, rabbrividire, ondeggiare e poi, finalmente, alzarsi.
Un orizzonte verticale.
Fatto di ciccia cicciosa al di là e al di qua di una diga beige di cotone 15% e elastene 85% che non può, non può più tenere. Marcello, profeta nel deserto, aspetta l'epifania di quel santo capezzolo come l'ultimo atto di una fede millenaria e fanatica. Schiocca l'elastico sulla pancia gonfia e dura a intervalli ravvicinati, facendo entrare l'aria salmastra a corroborare i suoi rantolanti centimetri di vecchiaia.
L'orizzonte s'è girato sulla pancia e con la mancina slaccia il legaccio del bikini che strappa e getta a terra con la destra. Alzando gli occhi vede Marcello, lontano lontano dal suo bagnasciuga cheap but chic delle due e mezza.
Non le capita più da un po' di tempo.
Piano piano, pianissimissimissimo, stacca il mento dalla sdraio, il busto dall'asciugamano, le ciocche delle extencion dal busto, dal collo e dalla valle dei seni. Che Marcello, lontano com'è, aspira, inspira, espira.
"Arrivederci Marcello"
"Torna in albergo?"
"Mi faccio una doccia fredda e torno. Oggi fa un caldo ..."
"Davvero!"
"Davvero ... Ah signora, anche lei qui? Suo marito non la lascia riposare nemmeno a quest'ora? Eh Marcello? Scusi sa, non l'avevo vista ..."
"Io sì"
E la lascia andare, pareo e zoccoli di legno, ancheggiando prima poco poi di più, pian piano che quell'ombra di colpa si allunga e si assottiglia sotto il sole delle due, sotto la luce vivida di un'improvvisa certezza antica: in fondo di che si lamenta, la moglie di Marcello?
E' vecchia, lei.

sabato 27 novembre 2010

Blowin in the wild

Tre croci. Ho finito il tabacco. Non ho da fumare, per tutto il viaggio, che un' MS di Pietropaolo, la sua eredità spirituale. I sedili della Tipo mandano un afrore animale, da circo di paese; poggio la sacca e si alza un pulviscolo quasi fatato: sono le anime degli acari chiamate alla casa del padre.
Bolsena. Costantina ci faceva le vacanze da piccola. Costantina è una stronza.
San Lorenzo. Acquapendente. Centeno. La radio mi dà ragione: mai prendere l'autostrada. C'è una coda tra Roncobilaccio e Barberino del Mugello. C'è sempre una coda tra Roncobilaccio e Barberino del Mugello. Roncobilaccio e Barberino del Mugello sono ibridi da bestiario medievale, metà paesi e metà lucertola, che più gliela tagli la coda e più gli ricresce. Costantina aveva una coda: rossa, folta, alta, da volpe. Costantina aveva anche un cuore da volpe montato su un culo di gallina: ladra e magra, troppo charmante per dirlo in italiano.
Gallina. È l'ora dell' MS: il tabacco aromatizzato allo stabbiato te lo dice in faccia, ti avverte prima: bada che scendo eh, guarda che io vado giù eh, io vado allora eh, guarda che una volta giù poi io mi piazzo eh, poi non fare quello che non sa perché si sveglia con il fiato che sa di idroscalo di Ostia eh. Ok ok, Emmesse, basta che stai zitta: devo sentire la replica di Stampa e Regime.
Buonconvento. Mi tira la scapola destra, devo essermi stirato un muscolo. Dev'esser successo ieri, ieri sera, quando ha detto "Non sono incinta" e io ho tirato quel sospiro di sollievo come un giavellotto, a quindici metri. O forse no, forse è stato dopo, quando ha detto "Allora ti lascio però" e io l'ho dovuta picchiare e lei, per dispetto, è morta subito -che stronza- e l'ho dovuta rivestire, sollevare e mettere nel portabagagli: vera ladra, finta magra.
Monteroni d'Arbia. Ponte a Pressa. Isola d'Arbia. Ed è subito Siena.

giovedì 14 ottobre 2010

sono una ragazza intelligente


Ciao, sono una ragazza intelligente di Latina.
Seguo sempre la vostra trasmissione perché credo che voi capiate davvero noi ragazze di oggi che vivono a Latina.
Io non faccio per vantarmi ma credo che sono sempre stata sopra la media della mia età perché sono sviluppata anche prima delle mie coetanee e questo ti segna la tua sensibilità soprattutto in una città come Latina.
Volevo intervenire sulla discussione dell'importanza della prima volta perché purtroppo essendo sviluppata presto sono diventata un oggetto sessuale anche se avrei preferito rimanere nell'infanzia più a lungo a giocare con le barbie con mia cugina che purtroppo lei è brutta, diciamo, e non è stata un oggetto sessuale come me anche se per fortuna adesso ha trovato una ragazzo serio qui a Latina.
Vorrei dire alle ragazze intelligenti come me che non bisogna buttarsi via perché ognuna ha i suoi tempi che non sono quelli dei ragazzi che non hanno i nostri problemi perché loro tanto quello che fanno fanno bene e nessuno li infama se fanno le esperienze anzi tutti gli fanno i complimenti (almeno qui a Latina).
Quindi ragazze fate come me non buttatevi via perché è bello conservarsi la dignità per darla a un ragazzo che ha dimostrato di amarci e aspettarci anche a lungo anche davanti a tutta una città che si comporta diversamente, tipo Latina.
Mi raccomando :)

Pecorina '98.

giovedì 16 settembre 2010

Hanno detto di stare tranquilli 3/?


"Li hai chiamati?"
"Sì"
"Che gli hai detto?"
"Che la cercassero, che non può esser andata via volontariamente, non può ... non l'ha mai fatto e poi non c'è motivo.E ci chiamassero subito, subito appena ..."
"E loro?"
"Hanno detto di stare traquilli"

venerdì 6 agosto 2010

Hanno detto di stare tranquilli 2/?


Lui si chiamava Raimondo, abbreviazione di Edmondo, italianizzazione di Edmond; l'applicato dell'anagrafe si era fascistissimamente rifiutato di riportare così come gli veniva dettato quel nome sul fascistissimo registro della fascistissima città di T., dove una sacca di NAILON copriva alla meglio ancora nell'87 l'insegna BAR, sostituita a suo tempo con un fascistissimo TAVERNA tracciato da un'ignota mano incerta.
Adesso Raimondo era lì, forse non per lei ma comunque con lei. O quasi. Dall'altro capo del ponticello la guardava soffondersi delle nuances grigie dell'asfalto, del guard rail, delle terre petrose tutt'intorno e pensava che così finalmente adesso, adesso che sull'epidermide affiorava quella sua natura ferrosa che di minuto in minuto le si ossidava addosso, adesso sì che si sarebbe somigliata.
E schiuse la bocca per dirle qualcosa che servisse; e la tappò di corsa con un toscanello che gli rimase tra le labbra inerti come un uomo tra le gambe di una vergine e che dovette fare tutto da sé: farsi fumare poco a poco da quel po' d'aria che tirava e affidarle il proprio odore perché lo trascinasse di là, da lei.
Quella lo inspirò come una bestia.
Poi stanca di guardare chiuse gli occhi.
Quando li riaprì il sole era sparito, Raimondo era sparito e il senso del mondo insieme a lui; restava una pista di fumo tracciata nella notte: la fiutò, la seguì, tornò indietro, ripartì, si fermò, tornò indietro e si accovacciò nel niente.

mercoledì 4 agosto 2010

Hanno detto di stare tranquilli 1/?


Di tutte le cose che avrebbe potuto sopportare (e l'educazione cattolica, la diseducazione borghese, il perfezionamento anorressico l'avevano abituata a sopportare quasi tutto)questo no, questo proprio no.
Era un pomeriggio di Marzo, il cielo sembrava essersi staccato dai ganci e pendere a pochi metri da terra, opprimente: né caldo né freddo, né sereno né nuvolo, né buono né cattivo il tempo scorreva indifferente come un rigagnolo estivo a tratti ripido e rapido e a tratti fuso in una pozza disperata.
Ma tutto questo non importava e quindi può anche non essere mai successo.
Importava, invece, il fatto d'essere proprio lì, e il perché, e il per come.
Era un pomeriggio di Marzo, il cielo sembrava essersi staccato dai ganci e pendere a pochi metri da terra, curioso: la fissava con occhi vitrei e ciechi e ignoranti e indifferenti come quelli di un lattante o di un vecchissimo vecchio, che potevano essere guardati impunemente e impunemente ignorati.
Nella fodera interna della sua giacca da uomo teneva la lettera ceralaccata (un vezzo anacronistico) e siglata con l'anello da vergine, quello che sua zia Lena le aveva regalato per il menarca: una vecchia moneta portata dal fronte russo, dalla quale un Romanov si ostinava a non guardarla, montata su una fede d'oro forse troppo spessa e incisa con un motto che per anni le era suonato misterioso e incantatore, stregato e oscuramente minaccioso.
Mentre aspettava gli eventi su quello sperone di roccia se lo ripeteva con la stessa periodocità circolare con cui, toccando l'anello, ne compiva la circonferenza: "Alterius non sit qui suus esse potest, alterius non sit qui suus esse potest, alterius non sit qui suus esse potest".

venerdì 4 giugno 2010

La dura madre


Basta un muretto basso e sfatto, un vaso di fiori sconosciuti e rossi e una luce che cuocia di tre quarti per fare di me qualcuno che non conosco.
Squillano le sirene di Bagdad vent'anni dopo: nella mia periferia storica può trattarsi al massimo dell’allarme di un suv o di una soluzione sensazionalistica che qualche sebaceo ragazzo sta approntando per i prossimi mondiali.
Tutto mi bea, tutto mi persuade, e tra selve di rosmarino sento di esistere altrove e altrimenti, di avere tra le costole o sotto il femore o in una circonlocuzione del cervello un piede di porco per forzare le ganasce del buon senso e scoprire che sotto c’è ancora buon senso.
Seduta in mezzo al tempo che mi resta prima della prossima edizione del tg, stupisco; esercito le reni indolenzendole come vuole la disciplina della dura madre, nella quale anche ora, ora che indosso un pigiama di cotone, si impasta la mia vita.
La dura madre sa, la dura madre vuole.