tag:blogger.com,1999:blog-2717172387316572082024-03-13T21:18:37.191-07:00il barrito del barrioMarinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.comBlogger45125tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-26838976540488490012011-03-15T14:21:00.000-07:002011-03-15T15:41:48.521-07:00118/b<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_U9zER0QC8Ipk5prHxyuSCokBzf0tYVioTxvx8y5cwFKYk5EtBnEHDOTJCIGOmxfPe8zpotAi0x8PmVtlB0npX5cYc-vgAr7f6qVMv-gSjw64-cVS61jd6V9X18hyphenhyphen_XWhj1rogvRKgqM8/s1600/donna+di+sabbia.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 271px; height: 186px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_U9zER0QC8Ipk5prHxyuSCokBzf0tYVioTxvx8y5cwFKYk5EtBnEHDOTJCIGOmxfPe8zpotAi0x8PmVtlB0npX5cYc-vgAr7f6qVMv-gSjw64-cVS61jd6V9X18hyphenhyphen_XWhj1rogvRKgqM8/s400/donna+di+sabbia.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5584438657501152802" /></a><br />Il primo uomo che, avendo recinto un terreno, ebbe l'idea di proclamare "questo è mio" e trovò altri così ingenui da credergli, costui è stato il vero fondatore del Bagno Marcello 118/b.<br />Spanne di oasi a un tot al giorno, seconda sdraio omaggio, bar "MaraKech" di Ottone Mara, conduzione familiare da tre generazioni, pista da bocce, bocce da manuale, manuale d'amore. <br />Intervallo.<br />Marcello fa schioccare l'elastico sulla pancia gonfia e dura mentre scruta l'orizzonte: lo guarda sfocarsi evanescente nel calore del dopopranzo, quando al bagno scendono solo donne giovani (troppo o troppo poco), lo guarda tremolare, rabbrividire, ondeggiare e poi, finalmente, alzarsi. <br />Un orizzonte verticale. <br />Fatto di ciccia cicciosa al di là e al di qua di una diga beige di cotone 15% e elastene 85% che non può, non può più tenere. Marcello, profeta nel deserto, aspetta l'epifania di quel santo capezzolo come l'ultimo atto di una fede millenaria e fanatica. Schiocca l'elastico sulla pancia gonfia e dura a intervalli ravvicinati, facendo entrare l'aria salmastra a corroborare i suoi rantolanti centimetri di vecchiaia. <br />L'orizzonte s'è girato sulla pancia e con la mancina slaccia il legaccio del bikini che strappa e getta a terra con la destra. Alzando gli occhi vede Marcello, lontano lontano dal suo bagnasciuga cheap but chic delle due e mezza. <br />Non le capita più da un po' di tempo.<br />Piano piano, pianissimissimissimo, stacca il mento dalla sdraio, il busto dall'asciugamano, le ciocche delle extencion dal busto, dal collo e dalla valle dei seni. Che Marcello, lontano com'è, aspira, inspira, espira.<br />"Arrivederci Marcello"<br />"Torna in albergo?"<br />"Mi faccio una doccia fredda e torno. Oggi fa un caldo ..."<br />"Davvero!"<br />"Davvero ... Ah signora, anche lei qui? Suo marito non la lascia riposare nemmeno a quest'ora? Eh Marcello? Scusi sa, non l'avevo vista ..."<br />"Io sì"<br />E la lascia andare, pareo e zoccoli di legno, ancheggiando prima poco poi di più, pian piano che quell'ombra di colpa si allunga e si assottiglia sotto il sole delle due, sotto la luce vivida di un'improvvisa certezza antica: in fondo di che si lamenta, la moglie di Marcello? <br />E' vecchia, lei.Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-34579073982388510812010-11-27T02:25:00.000-08:002010-11-28T01:44:21.002-08:00Blowin in the wildTre croci. Ho finito il tabacco. Non ho da fumare, per tutto il viaggio, che un' MS di Pietropaolo, la sua eredità spirituale. I sedili della Tipo mandano un afrore animale, da circo di paese; poggio la sacca e si alza un pulviscolo quasi fatato: sono le anime degli acari chiamate alla casa del padre. <br />Bolsena. Costantina ci faceva le vacanze da piccola. Costantina è una stronza.<br />San Lorenzo. Acquapendente. Centeno. La radio mi dà ragione: mai prendere l'autostrada. C'è una coda tra Roncobilaccio e Barberino del Mugello. C'è sempre una coda tra Roncobilaccio e Barberino del Mugello. Roncobilaccio e Barberino del Mugello sono ibridi da bestiario medievale, metà paesi e metà lucertola, che più gliela tagli la coda e più gli ricresce. Costantina aveva una coda: rossa, folta, alta, da volpe. Costantina aveva anche un cuore da volpe montato su un culo di gallina: ladra e magra, troppo charmante per dirlo in italiano.<br />Gallina. È l'ora dell' MS: il tabacco aromatizzato allo stabbiato te lo dice in faccia, ti avverte prima: bada che scendo eh, guarda che io vado giù eh, io vado allora eh, guarda che una volta giù poi io mi piazzo eh, poi non fare quello che non sa perché si sveglia con il fiato che sa di idroscalo di Ostia eh. Ok ok, Emmesse, basta che stai zitta: devo sentire la replica di Stampa e Regime.<br />Buonconvento. Mi tira la scapola destra, devo essermi stirato un muscolo. Dev'esser successo ieri, ieri sera, quando ha detto "Non sono incinta" e io ho tirato quel sospiro di sollievo come un giavellotto, a quindici metri. O forse no, forse è stato dopo, quando ha detto "Allora ti lascio però" e io l'ho dovuta picchiare e lei, per dispetto, è morta subito -che stronza- e l'ho dovuta rivestire, sollevare e mettere nel portabagagli: vera ladra, finta magra. <br />Monteroni d'Arbia. Ponte a Pressa. Isola d'Arbia. Ed è subito Siena.Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-46359778762954667242010-10-14T05:45:00.000-07:002010-10-14T08:11:19.954-07:00sono una ragazza intelligente<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2Ez3Jk_4-LtN3VJ1sM4gSNsEzDKe3jrUCAuo_wzmxDCTrsodPrCHiFy26klbYAcL-4hsY1i4-nFbhf1ShQvVxAXFGQ61hMXVHXaaFmyfgIqnz1HJQEpQi1RohKlZI67qLg07SG2SbWp8K/s1600/barbie+vomita.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 318px; height: 400px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2Ez3Jk_4-LtN3VJ1sM4gSNsEzDKe3jrUCAuo_wzmxDCTrsodPrCHiFy26klbYAcL-4hsY1i4-nFbhf1ShQvVxAXFGQ61hMXVHXaaFmyfgIqnz1HJQEpQi1RohKlZI67qLg07SG2SbWp8K/s400/barbie+vomita.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5527919477327503010" /></a><br />Ciao, sono una ragazza intelligente di Latina.<br />Seguo sempre la vostra trasmissione perché credo che voi capiate davvero noi ragazze di oggi che vivono a Latina.<br />Io non faccio per vantarmi ma credo che sono sempre stata sopra la media della mia età perché sono sviluppata anche prima delle mie coetanee e questo ti segna la tua sensibilità soprattutto in una città come Latina.<br />Volevo intervenire sulla discussione dell'importanza della prima volta perché purtroppo essendo sviluppata presto sono diventata un oggetto sessuale anche se avrei preferito rimanere nell'infanzia più a lungo a giocare con le barbie con mia cugina che purtroppo lei è brutta, diciamo, e non è stata un oggetto sessuale come me anche se per fortuna adesso ha trovato una ragazzo serio qui a Latina.<br />Vorrei dire alle ragazze intelligenti come me che non bisogna buttarsi via perché ognuna ha i suoi tempi che non sono quelli dei ragazzi che non hanno i nostri problemi perché loro tanto quello che fanno fanno bene e nessuno li infama se fanno le esperienze anzi tutti gli fanno i complimenti (almeno qui a Latina).<br />Quindi ragazze fate come me non buttatevi via perché è bello conservarsi la dignità per darla a un ragazzo che ha dimostrato di amarci e aspettarci anche a lungo anche davanti a tutta una città che si comporta diversamente, tipo Latina.<br />Mi raccomando :)<br /><br />Pecorina '98.Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com11tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-52900094805623469852010-09-16T08:07:00.000-07:002010-09-16T08:38:28.989-07:00Hanno detto di stare tranquilli 3/?<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYCw6GVfL0-nK-Hq9hRFUflh8-e8HxWwJhoSfGbX9AGPzzAoXFuvjvGhUBq5TYyTbKvBD4b2pekaxr1Is11QA4O-OrE8oZD8mlXqF4VlvnguqeVcamUQ2IL4DIkEvdALlNdnFs40z0DlER/s1600/fili+del+telefono.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 370px; height: 278px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYCw6GVfL0-nK-Hq9hRFUflh8-e8HxWwJhoSfGbX9AGPzzAoXFuvjvGhUBq5TYyTbKvBD4b2pekaxr1Is11QA4O-OrE8oZD8mlXqF4VlvnguqeVcamUQ2IL4DIkEvdALlNdnFs40z0DlER/s400/fili+del+telefono.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5517533212774342818" /></a><br />"Li hai chiamati?"<br />"Sì"<br />"Che gli hai detto?"<br />"Che la cercassero, che non può esser andata via volontariamente, non può ... non l'ha mai fatto e poi non c'è motivo.E ci chiamassero subito, subito appena ..."<br />"E loro?"<br />"Hanno detto di stare traquilli"Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-49048580196239872852010-08-06T06:15:00.000-07:002010-08-10T07:56:58.818-07:00Hanno detto di stare tranquilli 2/?<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVU02jOOSSTAtFXkgbFuWRsUL8i3qhdwlJacJNMPSAZxivd9W6ttcUCDESlp7PfzQwZRJjdj3Bxd9oilvpgIN5AVdhQFw1rAzxKUgCNGDaCRwQe5KqaT1r1LSVia-nNMg_7Toiaj8824Ag/s1600/bruma.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 400px; height: 312px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVU02jOOSSTAtFXkgbFuWRsUL8i3qhdwlJacJNMPSAZxivd9W6ttcUCDESlp7PfzQwZRJjdj3Bxd9oilvpgIN5AVdhQFw1rAzxKUgCNGDaCRwQe5KqaT1r1LSVia-nNMg_7Toiaj8824Ag/s400/bruma.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5502310920645325986" /></a><br />Lui si chiamava Raimondo, abbreviazione di Edmondo, italianizzazione di Edmond; l'applicato dell'anagrafe si era fascistissimamente rifiutato di riportare così come gli veniva dettato quel nome sul fascistissimo registro della fascistissima città di T., dove una sacca di NAILON copriva alla meglio ancora nell'87 l'insegna BAR, sostituita a suo tempo con un fascistissimo TAVERNA tracciato da un'ignota mano incerta.<br />Adesso Raimondo era lì, forse non per lei ma comunque con lei. O quasi. Dall'altro capo del ponticello la guardava soffondersi delle nuances grigie dell'asfalto, del guard rail, delle terre petrose tutt'intorno e pensava che così finalmente adesso, adesso che sull'epidermide affiorava quella sua natura ferrosa che di minuto in minuto le si ossidava addosso, adesso sì che si sarebbe somigliata.<br />E schiuse la bocca per dirle qualcosa che servisse; e la tappò di corsa con un toscanello che gli rimase tra le labbra inerti come un uomo tra le gambe di una vergine e che dovette fare tutto da sé: farsi fumare poco a poco da quel po' d'aria che tirava e affidarle il proprio odore perché lo trascinasse di là, da lei.<br />Quella lo inspirò come una bestia.<br />Poi stanca di guardare chiuse gli occhi. <br />Quando li riaprì il sole era sparito, Raimondo era sparito e il senso del mondo insieme a lui; restava una pista di fumo tracciata nella notte: la fiutò, la seguì, tornò indietro, ripartì, si fermò, tornò indietro e si accovacciò nel niente.Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-57464888020398815132010-08-04T06:41:00.000-07:002010-08-04T08:35:33.561-07:00Hanno detto di stare tranquilli 1/?<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfbA7uFfILZuHgLXZ_pGB_eWy0cdgAl5Ta1t7A5VNzo_8Uce-iSae7RMkAR1ATC3mvhOgAKff0Wy0ONn2AtkayVapHM578Y8Nt0_EdZuxGRO-nbtsKTow7Cl2aXPMad_TXzPra2ZyRg79b/s1600/ceralacca.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 260px; height: 250px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfbA7uFfILZuHgLXZ_pGB_eWy0cdgAl5Ta1t7A5VNzo_8Uce-iSae7RMkAR1ATC3mvhOgAKff0Wy0ONn2AtkayVapHM578Y8Nt0_EdZuxGRO-nbtsKTow7Cl2aXPMad_TXzPra2ZyRg79b/s400/ceralacca.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5501567966962228754" /></a><br />Di tutte le cose che avrebbe potuto sopportare (e l'educazione cattolica, la diseducazione borghese, il perfezionamento anorressico l'avevano abituata a sopportare quasi tutto)questo no, questo proprio no.<br />Era un pomeriggio di Marzo, il cielo sembrava essersi staccato dai ganci e pendere a pochi metri da terra, opprimente: né caldo né freddo, né sereno né nuvolo, né buono né cattivo il tempo scorreva indifferente come un rigagnolo estivo a tratti ripido e rapido e a tratti fuso in una pozza disperata.<br />Ma tutto questo non importava e quindi può anche non essere mai successo.<br />Importava, invece, il fatto d'essere proprio lì, e il perché, e il per come.<br />Era un pomeriggio di Marzo, il cielo sembrava essersi staccato dai ganci e pendere a pochi metri da terra, curioso: la fissava con occhi vitrei e ciechi e ignoranti e indifferenti come quelli di un lattante o di un vecchissimo vecchio, che potevano essere guardati impunemente e impunemente ignorati.<br />Nella fodera interna della sua giacca da uomo teneva la lettera ceralaccata (un vezzo anacronistico) e siglata con l'anello da vergine, quello che sua zia Lena le aveva regalato per il menarca: una vecchia moneta portata dal fronte russo, dalla quale un Romanov si ostinava a non guardarla, montata su una fede d'oro forse troppo spessa e incisa con un motto che per anni le era suonato misterioso e incantatore, stregato e oscuramente minaccioso.<br />Mentre aspettava gli eventi su quello sperone di roccia se lo ripeteva con la stessa periodocità circolare con cui, toccando l'anello, ne compiva la circonferenza: "Alterius non sit qui suus esse potest, alterius non sit qui suus esse potest, alterius non sit qui suus esse potest".Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-29282748952046773052010-06-04T10:53:00.001-07:002010-06-04T10:57:47.914-07:00La dura madre<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZlzvhJB0xRkSw73CAy60VAPdtiJGq3HVzeG3xOOjr7seu4C5rAuVXV563tU8fMbLUwwUODRHW1Jfm8qJIE25XcAxB2DQ2zBbG-KMmiJ1Krg2Qhe_ciM0NGQqjqnH6CVoww-o2w0qpzBIl/s1600/dura+madre.gif"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 227px; height: 400px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZlzvhJB0xRkSw73CAy60VAPdtiJGq3HVzeG3xOOjr7seu4C5rAuVXV563tU8fMbLUwwUODRHW1Jfm8qJIE25XcAxB2DQ2zBbG-KMmiJ1Krg2Qhe_ciM0NGQqjqnH6CVoww-o2w0qpzBIl/s400/dura+madre.gif" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5478978418786313650" /></a><br />Basta un muretto basso e sfatto, un vaso di fiori sconosciuti e rossi e una luce che cuocia di tre quarti per fare di me qualcuno che non conosco.<br />Squillano le sirene di Bagdad vent'anni dopo: nella mia periferia storica può trattarsi al massimo dell’allarme di un suv o di una soluzione sensazionalistica che qualche sebaceo ragazzo sta approntando per i prossimi mondiali. <br />Tutto mi bea, tutto mi persuade, e tra selve di rosmarino sento di esistere altrove e altrimenti, di avere tra le costole o sotto il femore o in una circonlocuzione del cervello un piede di porco per forzare le ganasce del buon senso e scoprire che sotto c’è ancora buon senso.<br />Seduta in mezzo al tempo che mi resta prima della prossima edizione del tg, stupisco; esercito le reni indolenzendole come vuole la disciplina della dura madre, nella quale anche ora, ora che indosso un pigiama di cotone, si impasta la mia vita.<br />La dura madre sa, la dura madre vuole.Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-30474081644890331342010-03-11T05:22:00.000-08:002010-03-11T12:43:39.808-08:00Ma tu continua e perditi, mia vita<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgH4A50hJOCwfeXwNB3NGsP1lwKjrIoCnl9dwk4BgBJJTktbPRVqXqGipPVkt_SId4n4QHNRnD_9CQXCuLZm-4fSuzEaFMGjl_4ZQrH68VzL6cDcW_iEAjGtwsO58nUuj4hy-RPhAf4VJA/s1600-h/sigaretta+daria.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 400px; height: 266px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgH4A50hJOCwfeXwNB3NGsP1lwKjrIoCnl9dwk4BgBJJTktbPRVqXqGipPVkt_SId4n4QHNRnD_9CQXCuLZm-4fSuzEaFMGjl_4ZQrH68VzL6cDcW_iEAjGtwsO58nUuj4hy-RPhAf4VJA/s400/sigaretta+daria.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5447369669272127682" /></a><br />Daria è giovane e vagamente leporina, ha un attico –dice lei- da artista romana o trapiantata a Roma, un monoloculo istrionico che per partenogenesi si trasforma in camera e cucina o camera e toilette, mai in cucina e toilette –dice lei-.<br />L’ha affittato per dimostrare tante cose a tanti occhi increduli ancora oggi, tre anni e tredici chili dopo. Ci fumava con le amiche, c’ha portato qualche ragazzo, ci accatasta libri come ha visto fare in una foto bianca e nera di Luzi, il poeta, un poeta: impilati rigorosamente dal pavimento, con studiato disordine.<br />Ne raccoglie uno, distrattamente ciondolando il braccio a mo’ di gru, quando viene Il Marocco a fare l’amore –dice lei-: con la schiena nuda e fredda contro il busto tartarugato del Marocco fuma Diana blu e lascia cadere le cicche sul pavimento o nelle scarpe, mentre gli legge qualcosa di qualcuno con una voce arrochita che al Marocco fa sangue –dice lui-. <br /><br />Nulla di ciò che accade e non ha volto <br />e nulla che precipiti puro, immune da traccia, <br />percettibile solo alla pietà <br />come te mi significa la morte. <br /><br />Il letto è talmente basso che riescono a fare l’amore in mille modi acrobatici senza essere acrobati, pensa un po’.<br />Oggi Daria torna al paese, che suo padre deve morire a giorni: compra un biglietto con ritorno Lunedì mattina, perché per allora dovrebbe essere finito tutto e se così non dovesse essere amen, tanto lui non la riconosce più e a lei non importa niente da prima che capisse che quella barba ispida e quella risata stupida non erano più suo padre. <br />Al paese trova la solita puzza d’aria buona, la solita brava gente, la solita cameretta con la carta beige a rombi marroni e losanghe: sdraiata sulla sopracoperta a uncinetto sente l’umido delle risaie imperlare il pavimento e indicarle una strada lucida attraverso il corridoio buio e la waste land del dopopranzo.<br />«Papà?»<br />E le boccette della morfina si girano a intimarle “shhhhhh!”. <br />Dalla finestra accapannellata entrano colori catarifratti dal caleidoscopio della flebo, che danno a quella morte puteolente un’atmosfera fantasy e tediata, da epopea domenicale.<br />Daria la blasfema spalanca le imposte senza accompagnarle: il corpo di papà sussulta in risposta alla botta secca che fanno sul muro, e sembra quasi vivo; dal cortile dodici occhi pii si alzano a guardarla maledicendo, senza fermare la linea melodica delle bocche oranti.<br />Ad ogni ave Maria, lì sotto, risponde la raganella dei polmoni frullati nel pigiama buono, quello per l’ospedale, con un ritmo continuo che assopisce e rasserena: è Giugno, si sta già bene, devo comprare dei sandali aperti e sentire Mariella per Ostia –dice lei-.<br /><blockquote></blockquote>Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-45470614365477496652010-02-09T06:22:00.000-08:002010-02-09T06:33:04.138-08:00Lava<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgch6unjfGLVltDJoWHj2Ap97sYP34vlQnOjLQK3BBQ149The_S-g-DSJOQGKSn4bkhHDVWSfO2VEGAxOIUVNIr-q4P3eihS2CQRSsNQd_WDvcQm-m9FR3dV42ChuPDOAvcjAbL1JXPyiX2/s1600-h/botero_stanza_bagno.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 251px; height: 400px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgch6unjfGLVltDJoWHj2Ap97sYP34vlQnOjLQK3BBQ149The_S-g-DSJOQGKSn4bkhHDVWSfO2VEGAxOIUVNIr-q4P3eihS2CQRSsNQd_WDvcQm-m9FR3dV42ChuPDOAvcjAbL1JXPyiX2/s400/botero_stanza_bagno.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5436251660162409778" /></a><br />Come una purissima morta nuotava nella vasca del bagno, occhi aperti e petto in fuori, giusto un pelo sotto il pelo dell’acqua.<br />Le iridi dilatate si riempivano della mia faccia da interni fin nell’estrema propaggine dell’ultimo dei loro alveoli neri: gliel’avevo visto fare non so quante volte. Anzi sì, lo so; voglio dire: posso saperlo. Due bagni a settimana, senza variazioni né eccezioni natalizie, per una media di cinquantasei settimane all’anno, che per tredici anni fa ... fa ... millequattrocentocinquantasei.<br />Millequattrocentocinquantasei simulazioni della morte ammantate di pratica igienica, ma tradite, nella loro inconfessabile realtà, dalla religiosità con cui gli atti e i tempi del cerimoniere si ripetevano: sulla maiolica rosa-salmone finlandese gli oli essenziali, i bagnoschiuma rilassanti, gli shampoo lucidanti, i balsami imbalsamanti restavano attenti,dignitosi, marziali e inutili come guardie svizzere. <br />Millequattrocentocinquantasei dimostrazioni che l’acqua scaverà pure la roccia, ma contro la ceramica non c’è storia. Né contro quel cuore di pomice, abraso a consumato a furia di sfregarsi contro i petti altrui per provare a lisciarli e assottigliarli tanto da romperne le resistenze ed entrare, penetrare, affondare contro natura. Contro la propria natura.<br />Il Rio C. scorre in qualche parte della Colombia, e nel suo letto cadaveri mutilati abbracciati a cuscini di cemento dormono un sonno così profondo che li riporta, prima o dopo, a galla; perché l’uomo è così, poroso: il suo corpo di spugna, il suo cuore di pietra. Pomice.Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-21522455919274222002010-01-15T05:37:00.000-08:002010-01-15T05:45:35.162-08:00Spostati<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgVqMVGXaJSiSFrKWEwPnfdc87nLXzRKYb2O5hW4c6VUAsLJW0UDLCOk6AcA7VvVPNRz-Es6lRcf_Ia5tWI1fJxjHne828nfz_zECPk-ZXRVD-JT2vdbOJnJmOmeJlmG3Up4A69BzzqPOYW/s1600-h/bicchiere.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 400px; height: 267px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgVqMVGXaJSiSFrKWEwPnfdc87nLXzRKYb2O5hW4c6VUAsLJW0UDLCOk6AcA7VvVPNRz-Es6lRcf_Ia5tWI1fJxjHne828nfz_zECPk-ZXRVD-JT2vdbOJnJmOmeJlmG3Up4A69BzzqPOYW/s400/bicchiere.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5426961782332603634" /></a><br />Se mi chiamassi John questo sarebbe un juke box a mezzo dollaro per volta, e quello un Jack qualsiasi, uno del mio quartiere, uno cresciuto come me a calci in culo e stelle e strisce e baby, sweet e fuck you mum.<br />Ma chiamarsi Gianni ammazza la questione sul nascere, porge l’altra guancia per principio, non ammette l’epica che nel fine settimana. <br />Giacomo mi allunga un’altro camparino liscio liscio, che mi faccia scivolare senza sforzi nella notte che oggi tarda ad arrivare: me lo vedo arrivare davanti tremulo, vile, un verginello al primo appuntamento con l’esperta depravazione della mia gola scartavetrata a forza di bestemmie e olio di gomito. Fossi nel più merdosissimo pub della più merdosissima square a quest’ora me lo vedrei venire incontro a falcate, altro che, e leccarmi la lingua quant’è lunga fino al campo dei miracoli che c’ho in corpo, giù in fondo, dove ho seppellito una manciata di notti e ho ritrovato alberi di anni rampicanti che mi si sono appiccicati attorno agli occhi e alla bocca. <br />E che non danno frutto.<br />Rutto.<br />Il buio delle sette non ha uguali, con quel neon che comincia a riscaldarsi e si impasta di polvere e tepore del tramezzo riscaldato, l’ultimo, quello che gli operai e il loro mondo onesto hanno schifato e lasciato apposta per me: carciofini e fondo del barile.<br />Mi concedo l’amarcord e ordino un coctail d’annata, alla faccia di queste facce pulite che cominciano a farmisi intorno e a solleticarmi dietro le orecchie con le loro piumate code dell’occhio: vogliono qualcosa, sanno come ottenerlo, lo otterranno. Ma non ancora: voglio far alzare un po’ di mance al barista, così che possa comprare una qualche stronzata colorata alla figlia e una stecca di sigarette come si deve.<br />Con la punta dei camperos spolpisco lo sgabello accanto al mio: Giacomo lo chiama “quello degli ospiti” e c’ha ragione, perché tra me, lui e la marmitta delle birre c’è una coesistenza di disgusto e bisogno reciproco, un moto di repulsione e riconoscenza quando ci ritroviamo insieme che ricordano veramente una famiglia. <br />«Spostati»<br />Dicono un paio di gazzelle al mio camperos; che ovviamente non ci sta e marca lo sgabello con una strusciata di fanghiglia ancora non rappresa che aveva tenuto nella risega del tacco per simili evenienze: la gazzella sinistra si pianta proprio sulla strisciata mentre l’altra s’appoggia all’acciaio specchiante del bancone.<br />«Funziona il juke box?»<br />«Abbastanza»<br />«Mi fai una vodka liscia?»<br />«Mh»<br />«Ce l’hai una sigaretta?»<br />«Non da donna»<br />«Tieni. Ti pago la vodka e una sigaretta da uomo. Spicciami il resto»<br />Aveva un giacchetto di pelle, corto in vita, borchiato e sceso su una spalla, i capelli raschiati sulla nuca, indefinibili, la voce di un giocattolo elettronico che abbia preso acqua. Nell’acquario di quel venerdì sera nuotava con traiettorie inusuali, con pochi colpi di pinna secchi e irregolari, contro corrente, visibilmente abituata a digiunare pur di non abboccare all’esca.<br />«Vuoi le patatine?»<br />«Hai musica metal?»<br />«Boh, vedi»<br />«C’è una copertina nera stracciata, ma non si legge niente»<br />«Io l’ho affittato come lo vedi»<br />Alla nota lunga iniziale ha sollevato la testa, preparandosi a pogare, ma il ricamo di sillabe incomprensibili le ha gelato il collo, irrigidendola in una posa plastica da scudisciata: seduta sullo sgabello, schiena inarcata, testa sollevata, braccia distese a toccare il bancone. <br />Ogni tanto si distinguevano uomini gridare basso “chirieleison” “chirieleison” e non ricevere risposta, e affogare sotto un’onda di violini e timpani e riaffiorare più stanchi e disperati, e sempre chiedere e sempre affogare.<br />Se n’è andata prima della fine, senza sigaretta, e ho guardato con tenerezza paterna la strisciata del mio fango salutarmi una volta ogni due passi. <br />Erano quasi le due: la serata poteva cominciare.Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-2007967619383799162009-12-19T03:01:00.000-08:002009-12-19T05:20:15.342-08:00Capri<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5pVC04ErdmNVcx4pBNH_Mnl02ukj1eNFbuLvM7xHVeDvnUKBYawFFh9Se1XdyOmHOxXa4fmSAnxpozrWCZhwXKtHCPt23WZPbTUxai8OQszxC5UYXW87yT5mExavLRVRrY2QZFyke3FCj/s1600-h/astrakan.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 400px; height: 252px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5pVC04ErdmNVcx4pBNH_Mnl02ukj1eNFbuLvM7xHVeDvnUKBYawFFh9Se1XdyOmHOxXa4fmSAnxpozrWCZhwXKtHCPt23WZPbTUxai8OQszxC5UYXW87yT5mExavLRVRrY2QZFyke3FCj/s400/astrakan.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5416902944674641922" /></a><br />Il vento umido le leccava addosso l’astrakan di Porta Portese, appiccicandoglielo ai lombi vagamente materni, e infilava sotto il bavero rialzato i suoi capelli fini e le parole grosse di qualcuno, da qualche parte, poco lontano.<br />Il piazzale degli autobus vantava tutte le nouances del grigio nel cemento, nelle pensiline, nel cielo , nell’astrakan di Porta Portese e nei capelli fini; a quell’ora, di sabato, non c’era un Venerdì che venisse a dividere l’aria di tempesta sull’isola pedonale: era la desolazione dell’apocalisse, della fine del mondo feriale.<br />«Dio te benedice tanta fortuna ammore»<br />«Non ho spicci»<br />“Ho bambino amalatto per favore aiuta me grasie”, aggiunge un cartoncino appuntato a mo’ di pass sul suo petto lungo.<br />Fa per prendersi una Capri, allunga il pacchetto all’altra senza nemmeno guardarla, senza spiegare, così; vede arrivare di tre quarti un fuoco amico che il vento inghiotte; allunga la mano per farsi passare l’accendino e se la sente strappare e squadernare.<br />«Dice di grande destino»<br />Legge l’anallfabeta<br />«Tu hai la mano bello»<br />«Ah sì?»<br />«Sì, linea di intelligenza molto lunga e profonda, e pure del successo»<br />«Mh»<br />«Non ci crede, eh?»<br />«Mah»<br />«Questa è linea della vita, vedi?»<br />«E che dice?»<br />«Che tu muori tra tanti anni»<br />«E quella?»<br />«Quella è linea dell' amore»<br />«Ah ... e quella che dice?»<br />«Che tu sei morta. Da tanti anni»Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-35213984059430744612009-12-09T05:49:00.000-08:002009-12-10T06:40:19.259-08:00La spia<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEioakd8DIoti3X-2qbP6rN37nLnRglGgt5HgAbi6SqmNz3paCPO2Zdv36aUXiv0YBTsb5ZgqALllMlVNWgXObjtiOJjQys2Cs4pGl5_-KfGhkAH8xgA_DVjSuCqYQyaniLzb3KvW4vT1JP4/s1600-h/notte+fari+1.gif"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 400px; height: 269px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEioakd8DIoti3X-2qbP6rN37nLnRglGgt5HgAbi6SqmNz3paCPO2Zdv36aUXiv0YBTsb5ZgqALllMlVNWgXObjtiOJjQys2Cs4pGl5_-KfGhkAH8xgA_DVjSuCqYQyaniLzb3KvW4vT1JP4/s400/notte+fari+1.gif" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5413234411899761298" /></a><br />M’ha adocchiata un paio di volte, cercando la polpa delle labbra incastonate tra le rughe d’espressione che i miei trent’anni m’hanno regalato nonostante non li avessi invitati alla festa.<br />Poi non l’ho più vista, per diverso tempo, e ho continuato ad andare, ad andare, nella beata ignoranza cui le chitarre dei Clash m’avevano ricondotta: quasi fetale.<br />Nell’oscurità profonda che solo certi pomeriggi invernali riescono a raggiungere il tergicristalli del passeggero m’inteneriva il cuore, così paralizzato e invidioso dell’energica ritmicità dell’altro: lo guardava come una volta, diversi inverni fa, io guardavo elasticizzarsi le gambe della Bouchet.<br />La notizia più notevole del notiziario delle sei è che sono le sei. <br />Una speaker graffiante aggiunge i secondi. <br />Wow.<br />E non ho il buonsenso di togliermi da davanti gli occhi questa sigaretta, condannata alla verginità dalla pigrizia degli dei che non hanno fulmini per me, che non ho fulminanti per lei.<br />La testa del sedile non vuol parlare con me, finge di dormire, guarda fuori; io sto al gioco, mi mordo le unghie e le sputo dal finestrino, mentre scivoliamo sotto la pancia di una montagna: le luci ci folgorano a intervalli regolari, gialle ed esagerate come le rose di un amante geloso. <br />All’improvviso me ne accorgo: lei, la spia, mi fissa, e chissà da quanto, con quell’occhio da insonne infuocato di rimprovero; non voglio abbassare lo sguardo né giocare sporco, e chiudo un occhio anch’io, quello buono. Così tutta la nebbia di questo Dicembre m’entra nell’abitacolo, riduce l’equalizzatore a un filamento bluastro che si muove a spasmi, mentre la prospettiva colloca provvidenzialmente la luce rossa del cruscotto sulla punta della mia centos e io aspiro quell’ora di morte senza avidità.<br />La spia m’ha tradita, com’è nella sua natura, e abbandonata in quest’area di servizio: mi sdraio nella paura dell’imprevisto, col solito ribaltabile, con l’occhio puntato verso le mille costellazioni che la nicotina ha tracciato sul tettino. <br />Me le leggevi tu, te lo ricordi? Col dito seguivi le orbite dei miei occhi, premendo un po’ per farmi male, guardandomi cercarti subito dopo nello sfarfallio, venendomi incontro sulla porta della labbra. <br />A quest’ora ti starai già chiedendo dove sia, perché tardi a tornare, com’è che non c’è niente da mangiare, che me lo sono fatta a fare il cellulare se quando serve non lo prendo mai.<br />Una lunga pista buia si srotola ai miei piedi come il velo di una sposa sfortunata, vuol essere calpestata dai tuoi passi, ma cadenzati al ritmo di una volta. <br />E certo che trovarmi mi troverai, e torneremo a casa, e parleremo un poco, e lo racconteremo, e chissà quanti inverni inverneranno prima che tu ti accorga che sono rimasta qui.Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-42492817607055104422009-11-23T11:05:00.000-08:002009-11-23T11:25:04.388-08:00Stabat mater<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggm-2oQuFYHoEGvLy5QKE6nT3wB6tU7APhoDEaYINNIZ3ruDArTG35caSQ8UbJCmEZJ3XUxVyBZImYpWHPHGzeMMTEk10xuinu3tnG7R95532_YgcLliDRj1jhmApu-pzN14PjMT4EZYvT/s1600/vagone01g.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 300px; height: 230px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggm-2oQuFYHoEGvLy5QKE6nT3wB6tU7APhoDEaYINNIZ3ruDArTG35caSQ8UbJCmEZJ3XUxVyBZImYpWHPHGzeMMTEk10xuinu3tnG7R95532_YgcLliDRj1jhmApu-pzN14PjMT4EZYvT/s400/vagone01g.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5407378223846453810" /></a><br />Il treno delle 20.15 mi mancava: nella mia collezione di partenze a quest’ora non ero mai partita.<br />I pendolari hanno lasciato piste d’odori acri e stanchi a tenergli il posto, e adesso mi dormono addosso i sonni ciondolanti dei pochi che hanno osato avventurarsi nella strada senza uscita del vagone: ad accettare l’inevitabile ci vuole un certo tipo di coraggio.<br />Porto una mano al cuore e non ci trovo che la stilo argento, quella che m’hanno regalato quei miei grandi amici di cui sono anni che non so più niente.<br />Lo scatto della punta che s’affaccia e si rivergogna abita la mia solitudine e le fa un po’ compagnia, intanto che la strada ci si mangia.<br />Passa un uomo stanco di passare. <br />Passa un quarto d’ora. <br />Passa la stazione di Perugia. <br />Passa un ragazzino fuori stagione, con delle scarpe in tela impolverate di polvere che qui non ce l’abbiamo e un broncio lungo più dei calzoncini. <br />La mano che lo guida è molle burro su cui si spalma il polsino scuro: di tela grossa e ruvida, severa. Di madre.<br />La madre lo sistema sul sedile di fronte al suo, e con manovre minime della testa lo soggioga e lo domina sicura: un piglio di badessa sulla vita di cuciniera . <br /> Il ferro delle rotaie calamita le palpebre al suolo e lei lo guarda respirare come se da un momento all’altro l’aria che esce da quelle narici nere nere dovesse smetterla con questa pretesa della trasparenza. <br />E non succede.<br />Prima stazione . Lui si sveglia rumorosamente, dal di dentro; è il primo a sorprendersene, imbronciato, e fa per avvicinarsi a quel caldo corpo nero: cabbah del suo pellegrinaggio, meta obbligata e scelta, pilastro di una fede antica. <br />L’arco sopraccigliare dell’idolo, alzandosi, genera un’onda repulsiva così tempestosa e gelida da seccare le labbra tumide e l’argomento liquoroso delle lacrime. Stare dove si deve, senza discutere: anche questa è devozione.<br />Seconda stazione. Tutti lo guardano giocare con le ciocche unte dei suoi capelli azzurri, cedevoli come femminette alla ginnastica fantasia delle dita sbocconcellate. Si parla, si risponde, si insulta, si provoca, si sbrodola addosso parole grosse.<br />Stanotte dormirai da solo: questa la sentenza dell’idolo. Solo. La notte. Questa notte. Tutta la notte.<br />Le lampade superstiti del vagone sono incensieri che spandono chiarori ovattati addosso all’idolo, e le scosse ritmiche le fanno sbuffare di luce.<br />Terza stazione. Bologna.<br />Quarta stazione. La madre lo guarda cercare qualcosa a tentoni, con le labbra, nel sonno. Restituisce un paio di saluti riverenti ai coinquilini che abbandonano questa notte ferrata, lasciandoci a spartirla. Mi guarda senza guardarmi, la guardo senza guardarla, e fingo di dormire.<br />Il fischio del controllore scudiscia l’aria.<br />“Mamà”<br /> Loguardamiguardaloagguantatirandolelabbra.<br />La destra scova nelle tasche enormi della tonaca un ciuccio avorio e coglie la messe di neri semi di preghiera e cristi crocefissi fioriti sulla catenella. <br /> Dal naso in giù tutto promette tempesta e punizione, ma gli occhi le scappano ai lati, si allungano sulle tempie che s’accartocciano addosso alle bende del velo, bruciano di acqua salata.<br />E io non ho visto niente.Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-74307351799002059882009-11-04T05:56:00.000-08:002009-11-04T06:02:24.557-08:00Menu della casa II<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQdsQ6GRa_9wb1fui71LWXTjI2xoZpqYqOyM7br_B9tzDuFKpO2Zf2YbYdE_mhyphenhyphentCPaDl-UIslphR9iW2ZZm_z-iNuEMI-r7dyc8qiCvthn4ZyYNurdsVVHCfTXHNiTGfC5JM5Pj2O652h/s1600-h/lady+oscar.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 305px; height: 253px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQdsQ6GRa_9wb1fui71LWXTjI2xoZpqYqOyM7br_B9tzDuFKpO2Zf2YbYdE_mhyphenhyphentCPaDl-UIslphR9iW2ZZm_z-iNuEMI-r7dyc8qiCvthn4ZyYNurdsVVHCfTXHNiTGfC5JM5Pj2O652h/s400/lady+oscar.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5400247813688865234" /></a><br />Riso e patate.<br />La condensa che picchiava i vetri come una mosca gonfia d’estate, vorticando, ascendendo, ronzando rabbiosamente. <br />Erano i miei primi sei anni, ottobre di mille anni fa. <br />La cucina ingombra dei seni di nonna, dei suoi grembiuli, canovacci, stracci, presine, tovaglie e tovaglioli. <br />«Guarda i cartoni, a nonna»<br />«Che c’è scritto?»<br />«La principessa»<br />E non era vero. <br />C’era scritta un’altra frase, il titolo di quella puntata di cui non ricordo altro. Così ho scoperto che mentiva, che leggere sapeva leggere, sì, ma piano, sillabando un po’ e un po’ indovinando. Mentiva. <br />Non potevo capire: ho intuito. E amato con più tenerezza, troppa, quella bambina fuori taglia. <br />M’ha riso il cuore: sapevo.<br />Sapeva che sapevo: le ha riso il cuore.<br />Nonna, le parole accovacciate sui tuoi ginocchi, tenerezza e voglia di accudirti, di vestirti e metterti a dormire, di curarti. Nei tuoi molti anni e molti chili s’è accecata la ragazzina che eri e che sei ancora. <br />Che sei più ora, che ti guardo ridere per poco e farti litigiosa e canterina, venirmi incontro e arrivarmi al mento.Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-5536936326179949382009-10-03T02:03:00.000-07:002009-10-03T02:06:54.891-07:00Di filo<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgefM2aqFiIRuPWYCSbuRYYeu8BHlND921z04Tmo0lp_T5YdNi1FQXdbcSTpy9nSf_qakj8KT-GIfnr4GtWY7yCQedK5P0iZ-3uihJf9uBEBNDCGXeKaT0SAJtPZTvTSyiCkKvU907KsvO-/s1600-h/equilibrista.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 252px; height: 400px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgefM2aqFiIRuPWYCSbuRYYeu8BHlND921z04Tmo0lp_T5YdNi1FQXdbcSTpy9nSf_qakj8KT-GIfnr4GtWY7yCQedK5P0iZ-3uihJf9uBEBNDCGXeKaT0SAJtPZTvTSyiCkKvU907KsvO-/s400/equilibrista.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5388297178651637938" /></a><br />Tu sei, e che tu sia non fa mistero, di filo.<br />Di fil di voce sei, tanto nascosto in te come lumaca che aspetta il temporale che la svegli, tanto svelta a cancellare l’impressione che sia per timidezza e a farti tentatore, soffiando dall’orecchio sull’incavo del collo.<br />Di fil di spada sei, sottile e scabro, ma soltanto per ferirmi svelto a sguainare la sciabola dei denti che danno l’affondo, sempre lo stesso.<br />Di fil di fumo sei, labile più del dovuto, rapido più del dovuto, pie’ veloce, acre in gola quando il tuo nome ristagna, scuro in volto quando ristagna il mio nome.<br />Di filo d’erba sei, flessile, giovane, tenero, solo. Pasci i miei pascoli, nascondi l’agguato, accogli lo stallo, inchini ai venti, affondi radici capaci di resistere e di non resistere, solletichi l’aria, succhi l’acqua dal fango. <br />Tu succhi l’acqua al fangoMarinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-87810321624678730502009-09-07T07:25:00.000-07:002009-09-07T07:35:13.335-07:00Vent'anni<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiagpdoSVwy16VIEiRLEubPQW0IKu7iFHxbx9NHzY4kRU8NRjenujgHP5Z03lz2Zp12dNwEKigs1K4JvuMR1BONnB_d4ZP13iCSxjC_Pn7n3cXReJGNi9U4phOJ3VqfHauILhjUaYjgs3EU/s1600-h/scarabocchio.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 400px; height: 399px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiagpdoSVwy16VIEiRLEubPQW0IKu7iFHxbx9NHzY4kRU8NRjenujgHP5Z03lz2Zp12dNwEKigs1K4JvuMR1BONnB_d4ZP13iCSxjC_Pn7n3cXReJGNi9U4phOJ3VqfHauILhjUaYjgs3EU/s400/scarabocchio.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5378733980709651234" /></a><br />Sei bella.<br />La tua bellezza mi dà le spalle, maleducate come solo a certe spalle si concede.<br />E sull’intonaco malva della camera la tua carne è una sfumatura di colore appena tiepido ma caldo, caldo, caldo. Calor di color di lontananza. <br />Potresti voltarti, vedermi, indossare uno sguardo di cotonella.<br />Invece è così nuda che voglio ricordare la tua cervice pensile, le bifore delle braccia, il piede che continui a inforchettare con la caviglia a sonagli. Sei tutta una linea, imprecisa ma continua, uno scarabocchio fatto tenendo il telefono tra l’orecchio e la spalla sinistra.<br />Ti canta in gola il sangue, ti ballano le tempie e la palpebra del destro. Ma solo a sera tarda.<br />Sono vent’anni che hai vent’anni, e ancora ridi con gli occhi, e intrecci settimane di vimini per riporre le parole del sabato e i lunghi silenzi domenicali, che ti sdrai accanto a un tenero senso di predestinazione.<br />Qualcosa in te non vuol calmarsi, e ti striscia sottopelle. Qualcosa, invece, non sa mutare. <br />Cambi profumo, ma l’odore è sempre quello, sempre lo stesso: il mio.Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-81470928786963658452009-08-20T08:12:00.000-07:002009-08-20T11:50:18.338-07:00Termodinamica dell'elettrostatica<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-a8KIQCJOwCiOhQjtwl6DyXOVFYmEIxpg2rJVvVHa-tEWwzFOGzqitPpbpSuXxbQ0U-8pUPsHZ3TA34DNalzfxqjBw8FTEcygOZ20XLRuqJ37qrnRyixQyyArDdedKgYP3iVxzHme5-no/s1600-h/termodinamica+1.png"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 200px; height: 194px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-a8KIQCJOwCiOhQjtwl6DyXOVFYmEIxpg2rJVvVHa-tEWwzFOGzqitPpbpSuXxbQ0U-8pUPsHZ3TA34DNalzfxqjBw8FTEcygOZ20XLRuqJ37qrnRyixQyyArDdedKgYP3iVxzHme5-no/s400/termodinamica+1.png" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5372120224078990850" /></a><br />Patti non è nome da paese. <br />Sotto i ventimila abitanti Patti è inequivocabilmente un nome di sventura, una quinta di reggiseno , un magenta per le labbra, un odore di vaniglia lemon che resiste all’incenso del prete e a cui il prete, anche il prete, non resiste.<br />Patti è un nome che le altre non ti ci chiameranno mai, mai lo useranno per invitarti a uscire né tantomeno a visitarle a casa, dove la tua scia di vaniglia lemon rimanga a solleticargli i mariti. <br />Patti è un nome da mariti, che se lo passano con la lingua tra uno spritz e l’altro, e se lo mettono in tasca con gli spicci per giocarci con le dita intanto che aspettano da cena.<br />E quel 92% seta e 8% elastene delle tue spalle scivola, eccome, tra le dita, accelera lungo i palmi, si rincorre tra gli avanbracci per precipitare su viscosi petti. Patti. Con quell’orribile vizio della generosità. Con un imene per ogni occasione. Con un odore di vaniglia lemon da perderci il sonno.<br />E una madre che t’ha scudisciata con ogni nuova ruga, per quella polpa rosa che vedeva gonfiartisi addosso, per la pretesa assurda di poter ridere di niente e perché nei tuoi 36° vedeva fermentare qualcosa che ubriacava più e meglio del suo vino in cartone.<br />Tutto si trasforma. Dice. E nulla si crea. Pare. Ma che niente si distrugga, beh, ci vuole fede, non scienza, per crederci.Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-68087234162964998762009-07-21T04:01:00.000-07:002009-07-21T04:23:32.449-07:00Dazi ormonali<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQiLn9sdunPpcwcGtvfFdvajm-H7QPOBigQXwpP7scAb12zfa2dqeWF1qhZ3Muucq91EEy5Y7hOEJ8wg2aWygr5_00lneT96r4SOUFANgLaZlyB2YWYZjxRqFFcJGDMdN6rEwXAtuLzqI5/s1600-h/bar.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 320px; height: 234px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQiLn9sdunPpcwcGtvfFdvajm-H7QPOBigQXwpP7scAb12zfa2dqeWF1qhZ3Muucq91EEy5Y7hOEJ8wg2aWygr5_00lneT96r4SOUFANgLaZlyB2YWYZjxRqFFcJGDMdN6rEwXAtuLzqI5/s320/bar.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5360872497908789698" /></a><br />Bestemmiano.<br />Dio, la Madonna, Dio e la Madonna. <br />Bestemmie rudimentali, per scheggiare, manovrate da cuori non opponibili e buttate nel mucchio come spallate per farsi posto.<br />Bestemmie per farsi posto.<br />E risate che non fanno ridere, gracchianti, moleste e disperate, da ubriaco.<br />È un rito dozzinale ma efficace di cui sono ministri e fedeli, ma di quelli tiepidi.<br />Li guardo con occhi da gatta, da azalea, da tegola, da asiatica: occhi che fanno tutto uguale.<br />E sono tutti uguali: noiosi, sciatti e disperati. <br />L’elogio dei tredici anni. L’obbrobrio dei tredici anni. Troppo belli. Troppo brutti. Tutto vero. Tutto finto. Deliziosi. Repellenti.<br />La uncina dall’incavo delle cosce, tirandola a sedere su di sé. <br />Gli ride qualcosa all’orecchio, maliziosetta al borotalco.<br />Così fan tutti, tutto il giorno, tutti giorni.<br />Anche Linda. Nome dolce, pelo biondo, sguardo basso. Fino a ieri.<br />Oggi simula un’euforia da happy hour, misura a falcate di espadrillas il giardinetto, sui suoi due giri di perle fucsia cadono teste di noce di cocchi di mamma.<br />Una. Due. Trequattro. Cinque.<br />Si struscia sul muretto; un po’ per volta finirà la muta, lascerà la vecchia pelle molle a ricordarle qualcosa ma così, confusamente, come nemmeno fosse cosa sua.<br />E certo stasera, rientrando, sotto casa, si vergognerà. <br />Ma certo stasera, riuscendo, sotto casa, si vergognerà d’essersi vergognata.<br />Perché in amore e in guerra tutto è permesso. E questo non è amore.Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-46151792588714359582009-06-14T12:49:00.000-07:002009-06-14T12:53:04.860-07:00Menu della casa I<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEitQvOHnHUE1EaK75KWbSFckE_TNrwSn-RJfI5FuAL7wlmdU4mw06s3dQJg8nUb7RuEdcsjcwlmV9ELon4_Z6FTjgYpipZ05IQ0_eu2JMcKjce1aa6-DO4jcnt8awSzkzYo19g94_4-DnGF/s1600-h/sacchi.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 230px; height: 159px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEitQvOHnHUE1EaK75KWbSFckE_TNrwSn-RJfI5FuAL7wlmdU4mw06s3dQJg8nUb7RuEdcsjcwlmV9ELon4_Z6FTjgYpipZ05IQ0_eu2JMcKjce1aa6-DO4jcnt8awSzkzYo19g94_4-DnGF/s320/sacchi.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5347273548410829554" /></a><br />Pane e tonno.<br />Non volevo che essere maschio. Magari uomo no, ma maschio. In quei giorni di fare, di polvere, di faccende e dignità io non avevo un posto che fosse mio. <br />In tutti quei filari di campagna, nei punti neri che marchiavano l’ennesima adolescenza del viso giovane, sempre giovane della terra gialla a mezzogiorno, io non c’avevo che fare.<br />Niente fare niente stare.<br />Legge delle cose, legge onesta. Le donne avevano preparato gli attrezzi, preparato il pranzo che in mezzo alla polvere si chiama colazione, preparato anche gli uomini alla fatica e all’onore della fatica.<br />Per loro era tempo di tornare. <br />Aspettare.<br />La donna attende di natura. Nove mesi, vent’anni, quei cinque minuti che fanno la differenza tra cedere e capitolare.<br />Avrei dovuto andare anch’io.<br />Infilarmi nell’intercapedine tra un avvenimento e l’altro, pancia in dentro e bocca aperta.<br />«io rimango»<br />«dove?»<br />«qui»<br />«qui?! A che fare?»<br />«a lavorare»<br />«tu?»<br />«io»<br />«peserai trenta chili!»<br />«peserò quanto Massimo, ma lui lo fate stare»<br />«lasciala, se vuole stare … ma devi lavorare»<br />Sacchi da cinquanta svuotati quasi per metà. Trenta dolcissimi chili in media. Ad ogni viaggio. Dolcissimi. La vita che avrei conquistato, rubato se serviva, che m’aspettavo anche se non mi spettava. Almeno sulla carta.<br />La iuta segava la carne, anche sotto i vestiti, grezza e antica come la fatica. <br />Era la mia marcatura, era il segno. Che ho tenuto e coccolato per giorni: fidato e fermo sulla spalla sinistra come il pappagallo di un corsaro che io viziavo di ogni attenzione. <br />«COLAZIONE!»<br />Anche per me. <br />Tra le foglie boccheggianti dei filari il vento ci veniva a metter fretta, e mangiavamo in piedi, appesi gli uni agli altri.<br />Pane e tonno è l’ultima cena. Tradire il patto. <br />E io ho tradito.Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-41674661690014241772009-06-04T13:06:00.000-07:002009-06-13T06:43:01.535-07:00Crucci e grucce<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhl18TyD5x7NYvvIz66mekhsxRr9Ma1ly6KDC7NsdNyQbdmsXt4uo53i9eq6vRaXRZvwDL1FaAYy2uILASPAfqeO9nRrF4lUzw2KYfdZXkmBMFvgyoDEYCDvgnMSYOGVsIslBGf2DrgrINV/s1600-h/dsp_armadio_con_grucce_1168953750.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 300px; height: 300px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhl18TyD5x7NYvvIz66mekhsxRr9Ma1ly6KDC7NsdNyQbdmsXt4uo53i9eq6vRaXRZvwDL1FaAYy2uILASPAfqeO9nRrF4lUzw2KYfdZXkmBMFvgyoDEYCDvgnMSYOGVsIslBGf2DrgrINV/s320/dsp_armadio_con_grucce_1168953750.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5343567040605332674" /></a><br />Oggi fa più caldo, l’aria è densa di tumori, mi tira la ferita del ginocchio.<br />Oggi devo andare a farmi nuova, lasciare che il movimento gonfi e raccolga la mia inconsistenza come il bastone lo zucchero filato. Devo camminare molto per distrarmi, perché in mezzo alle macchine, alla gente, piangere non posso. Mi lascerò accerchiare dalle cose che non vogliono cambiare.<br />Devo provare a cercare la voglia tra le grucce del negozio dietro casa. Ho bisogno che la mia nudità prenda un sapore di capriccio, perché di igienica prassi sono stufa. Appassita sullo stelo dei giorni incolonnati. Così nemica di me stessa,così stanca di dovermi frequentare.<br />Eppure staccarmi ancora non è tempo. Devo stare. <br />Tra le stoffe stampate cercherò qualcosa che mi mascheri, che strusci sulle braccia come un gatto, che faccia rumore camminando.<br />Perché di stare sola sono stanca. Ma ancora un poco sola devo stare.<br />Cercherò un commesso che mi guardi nello scollo, da conquistare sollevando questi occhi stracchi, insonnoliti e gonfi come guance per fischiare. Di un brivido ho bisogno, di una grassa allusione inelegante, di un desiderio maschio in erezione a cui appendere la serie degli eventi.<br />In me dovrei cercare ma in me sento soltanto la frescura umida e marcia dell’ombra troppo lunga e larga e fonda, di qualcosa che nemmeno ricordavo.Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-79418599165109132862009-04-28T12:56:00.000-07:002009-04-28T13:00:34.453-07:00Il male subito<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhb22mjI_hKd10xP0evMFxl81QsDNU6oKtGEaqlmcLZfqS52QvSmxi338eMPqupfv1zHjuSAZqet7xFSbj8sYxbWOs624CGoZCKu9nrF1dOPIMGVikIVxjhm8mTDMN4yRtEiVrFnf34_T3m/s1600-h/al+fiume.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 320px; height: 218px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhb22mjI_hKd10xP0evMFxl81QsDNU6oKtGEaqlmcLZfqS52QvSmxi338eMPqupfv1zHjuSAZqet7xFSbj8sYxbWOs624CGoZCKu9nrF1dOPIMGVikIVxjhm8mTDMN4yRtEiVrFnf34_T3m/s320/al+fiume.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5329834580984771362" /></a><br />Dovremmo augurare il male ai nostri amici, a quelli a cui teniamo, ai nostri cari.<br />Non lo si fa, e va bene, ma davvero credo che invece si dovrebbe.<br />Non solo il male, no, né soprattutto il male, no, nemmeno. <br />Quel tanto che basta ad esfoliare la superficie morta della morta superficie.<br />Perché il male subito sa darti la misura di te, le tue misure: petto fianchi e vita. <br />Soprattutto vita.<br />Il gusto di non lasciare fuori niente, di imbrattartici, di conservarne i brandelli tra i denti. Il senso di ogni cosa, il suo modo di distorcere e restituire la tua immagine. <br />Ti fa scoprire strade laterali, sensi unici e vicoli ciechi che non te li saresti mai sognati: utili a volte come scorciatoie, altre per tirare tardi e innamorarti della desolazione accartocciata dei gatti pigri e dei balconi vuoti.<br />Troppo male può intontire. <br />Troppo poco intontisce senza meno.<br />Perché ci ruba stimoli e difficoltà e soddisfazioni. <br />Domandarsi “perché io?” e non avere in tasca né uno scellino né un pensiero.<br />Doversi arrendere e trovare nella resa un ottimo compagno di bevute.<br />Imparare anche questo. <br />Dire “io” e sentire dove sbatte l’eco. <br />Diventare i propri migliori amici. <br />Scoprire il nostro punto di fusione.<br />Farsi grandi.Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-50500867086730190502009-04-03T09:25:00.000-07:002009-04-03T09:27:49.359-07:00Il male fatto<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEglLMSALJHIQRuVvokNJk9Q8wYfve_K5iOZqAd2rrspUWHUbJD7qKVRfrZVw7zk04Tr-AuIxVA0xSiH2KTR2eEuFOmuTTY-EaPHgdMqS4nk8FpsRlZKCau2wQNeJF75evrRftBj8M1HEHp3/s1600-h/panchina.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 320px; height: 203px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEglLMSALJHIQRuVvokNJk9Q8wYfve_K5iOZqAd2rrspUWHUbJD7qKVRfrZVw7zk04Tr-AuIxVA0xSiH2KTR2eEuFOmuTTY-EaPHgdMqS4nk8FpsRlZKCau2wQNeJF75evrRftBj8M1HEHp3/s320/panchina.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5320502671971398658" /></a><br />C’è gente che per trovarsi s’è cercata in India. Tra i bonzi e gli elefanti, tra il Deccan e il Brahmaputra. E magari non ha risolto niente.<br />C’è l’altra soluzione, quella facile, evidente, frequentata.<br />Se cerchi te cerca in te. L’ha detto qualcun’altro, più di qualcuno in verità.<br />A me l’ha riferito la mia tiepida vita.<br />Elogio il male fatto, a cui nessuno si sforza di volere un po’ di bene. <br />Lo faccio perché so quello che dico. Non c’è provocazione. Tutto vero.<br />Elogio non vuol dire caldeggiare, spingere, invitare, persuadere. Non c’è bisogno. Tutti l’hanno fatto, tutti lo fanno, e spontaneamente. <br />Elogio vuol dire stacci attento, non lasciare indietro niente, non sottovalutarti: tu stai tessendo storia, la tua storia. Niente di meno.<br />Lesson one: the pen is on the table. <br />Lesson two: la vita non si sfugge. <br />Scegliere di fare il bene, scegliere di fare il male, scegliere di non scegliere. Questo è quanto.<br />Se hai attossicato, soffocato, lacerato, tradito, mentito, lusingato, simulato, a me gli occhi please, a me gli occhi. <br />Ecco il tuo peso specifico, la tua umaniorità.<br />Il disprezzo di sé: un egolitico di prima qualità. Posologia: al bisogno.<br />Doversi perdonare ci regala un precedente, espande la casistica, ci costringe a fare gli uomini. Anche prima di esserlo davvero.<br /> Riempe le borse degli occhi di vestiti che non metteremo più. <br />E da quel viaggio notturno nel retrogusto amaro della propria perfettibilità si ritorna differenti. O non si torna.<br />Capaci di sapere ad ogni istante di quanta carne è fatta l’altrui vita, di provarne tenerezza, di aver voglia e pudore di ninnarla.<br />Hai preso attenuanti che una volta toccherà a te prestare a chi di turno. <br />Elogio il male fatto che c’insegna ad amare meglio gli altri, meno noi.Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-34673993840823678532009-03-20T09:48:00.000-07:002009-03-20T09:50:37.802-07:00Dal tramonto all'albaIersera ho girato e rigirato intorno al mio asse mediano con la rassegnazione di un pollo di rosticceria.<br />Tu dormivi.<br />Ti ho guardato dormire, tutta schiena, come un muretto d’oratorio contro cui tirare pallonate intanto che il sole scende e qualcuno arriva.<br />La strada dei tuoi nei lasciava al guado una qualche possibilità di non bagnarsi sulla corrente calma ma continua dei peli che ti drizzava il mio respiro insistito addosso.<br />Tu dormivi.<br />Domani non arrivava mai. L’orologio scivolato sotto il letto mi costringeva a contare il tempo dalle pieghe che i miei seni accovacciati facevano sul lenzuolo. Li ho spogliati, lasciati respirare l’aria di una notte che tutto mi succedeva addosso.<br />Li ho visti guardare seri la tua schiena, tirarle una pallonata contro, guardarsi intorno se arrivasse qualcuno.<br />Li ho visti addormentarsi come figli cullati dal ritmo del mio cuore.<br />Mi sono tolta tutto. Ero viva, linfatica, fertile, ormonale e nuda proprio dietro le tue spalle da oratorio. <br />Da sola mi guardavo, ti guardavo, mi guardavo.<br />Tu dormivi.<br />Se t’avessi svegliato, così scandalosamente nuda e insolita, avresti brontolato o fatto l’amore, ma non avresti chiesto perché, né sorriso, né abitato la notte con me facendoti più vicino.<br />Questo pensiero mi succhiava il cervello dall’orecchio sinistro, come si fa con le lumache di mare, che puoi starci sopra le ore prima di cavarne qualcosa.<br /> A un tratto era giorno. Io non t’amavo più.<br />Tu dormivi.Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-46415070128199379132009-03-11T04:34:00.000-07:002009-03-11T04:37:23.580-07:00Crescente<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgmgPtMEe-qkwzms6dNCOGERjEE7Km8eNaIK0KUmgQI_ccwrtnTWxe9RLE3f6BSYeMsAZP6eHsr_bZekbSOIAzKUyLM8rlMJ1g1hYRsL-FyhHkdUmrWMdZniFhLmzVUNK1GoorOZ6GcA-Ta/s1600-h/pubert%C3%A0.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 229px; height: 320px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgmgPtMEe-qkwzms6dNCOGERjEE7Km8eNaIK0KUmgQI_ccwrtnTWxe9RLE3f6BSYeMsAZP6eHsr_bZekbSOIAzKUyLM8rlMJ1g1hYRsL-FyhHkdUmrWMdZniFhLmzVUNK1GoorOZ6GcA-Ta/s320/pubert%C3%A0.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5311892820516327682" /></a><br />Come la luna sei, bianca e rotonda, e sorgi e cali sulla linea netta della spalliera in ferro del tuo letto.<br />Io sono quello che non sa dormire, oppure sa e non vuole, io sono solo. <br />Solo una scarpa sono, un’orma sola.<br />Passo come la pendola pesante. Passo a giorni alterni davanti alla tua porta socchiusa e rigogliosa di fotografie, poster e per sempre all’uniposca.<br />Tu albeggi.<br />Nei trenta gradi delle notti estive sembri tramontata su quel letto con approssimazione ben studiata.<br /> E i tuoi capelli cercano qualcosa sotto il cuscino. <br />E tra la spalla e il collo ti dorme una penombra a mezze tinte.<br />Mondo prima del mondo.<br />Cosa viva. <br />Completa ma vocata a continuare, a continuare, a continuare sempre.<br />Pieno corpo piano di Pangea: sulle tue coste battono e ribattono azzurre onde azzurre di cotone, lente ma pervicaci, fatte per scavarti, per riconsiderarti nottetempo.<br />Correnti oscure mordono la vita, erodono centimetri di carne, che la maretta finge di scordare sulle tue cosce giovani, brunite, che non sai ancora accavallare e tieni divaricate quando stai seduta.<br />Il tempo del tuo tempo sta scadendo.<br />Comincia la deriva spensierata di te da te: ne caverai dorsali su cui prendere meglio il sole e il freddo, ne caverai zone di subduzione buone per fingere di aver dimenticato, ne caverai colonne d’Ercole e un modo solo tuo di immalinconirti e starci male.<br />Il tempo del tuo tempo sta scadendo.<br />Lo battono i miei passi in corridoio. Le lacrime che strozzano la gola della clessidra sul mio comodino.Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-271717238731657208.post-61329193702869882342009-03-05T12:53:00.000-08:002009-03-05T12:56:49.099-08:00Raccolta punti<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiW9ehUFmwshceJJR45KYKt1Iqht2iIHgKmixiVKDj7KxQeFM8gXAwkBEtxfp6Fd1_JN3k71uw9yQaSsyMxqKQSPN5W0KQaoLec88lcdSzs_F-ypNlGgh9sAZI2bBSkk8Oxe4dEg1YPdl-D/s1600-h/letto+di+ospedale.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 320px; height: 240px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiW9ehUFmwshceJJR45KYKt1Iqht2iIHgKmixiVKDj7KxQeFM8gXAwkBEtxfp6Fd1_JN3k71uw9yQaSsyMxqKQSPN5W0KQaoLec88lcdSzs_F-ypNlGgh9sAZI2bBSkk8Oxe4dEg1YPdl-D/s320/letto+di+ospedale.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5309810464353959410" /></a><br />Coi punti del dottore non ti ci danno i premi.<br />Continuava a guardare questa frase malinconicamente appesa all’uomo morto. Beato lui.<br />Una spanna e mezza neanche tra un’anca e l’altra. Poca strada da fare, ideale per amanti pigri e insonnoliti.<br />La voglia di risentirsi mozzare il fiato dal peso di un uomo grave, precipitato dalla cima della montagna di Maometto. Voglia di quelle cose che qualsiasi sala d’attesa terrebbe sulla soglia, nel portaombrelli.<br />Cose che stanno in tutte le cucine, tra il barattolo del sale e il pane di ieri.<br />Lo stetoscopio abbandonato, i guanti in lattice accartocciati nel bidone, lo strappo di carta del lettino: tutto molto meno sterile di ...<br />«Lei può andare»<br />«Andare?!»<br />«Sì. Ma torni presto»<br />«Quando?»<br />«Tre, quattro giorni, se non ha problemi»<br />«Posso restare altri cinque minuti? Mi sento così giù e le gambe …»<br />«È il sangue perso, e certo la paura … sebbene Lei abbia fatto … comunque può restare, può restare»<br />«Allora grazie»<br />«Dovere. E mi stia bene»<br />Le gambe ancora lorde di sangue colato, brune e lunghe e magre e molli, prive dell’incavo dorato della chiglia, rompighiaccio ossuti nel mare artico di quel letto a ore.<br />Il sangue sotto le bende come polvere sotto il tappeto.<br />E sotto il sangue il segno. E sotto il segno il male.<br />La lametta bic ha faticato per divaricare i lembi della carne dura e sana, per squadernare agli occhi attenti il miracolo della violazione e far risalire dalle profondità della ferita la risposta attesa e temuta sopra tutte. <br />“Qui puoi soffrire”.<br />Per fortuna. <br />Perché cominciava a credere e sospettare che lì dove il piacere non arrivava non sarebbe più arrivato niente. E dove si sospetta il niente anche il dolore sembra una gran consolazione.<br />Proiettato sull’intonaco verde acqua della parete scorreva il loop di quei pochi gesti, indecisi e decisivi. Da lì non si tornava indietro. Più.<br />Le ore aspettavano in fila, dietro la porta, pronte all’agguato.<br />Rendersene conto e decidere di andare fa tutt’uno. Ormai bisogna.<br />Si alza sul gomito sinistro, si abbassa la gonna, si mette una ciocca di capelli magri dietro l’orecchio, e nel farlo sente una ruvidezza che offende e umilia anche quell’istante di resa fiduciosa: fuori dall’estasi del dolore c’è ancora la sua vecchia barba bruna ad aspettarlo.Marinahttp://www.blogger.com/profile/09314735895764875731noreply@blogger.com2