martedì 28 aprile 2009

Il male subito


Dovremmo augurare il male ai nostri amici, a quelli a cui teniamo, ai nostri cari.
Non lo si fa, e va bene, ma davvero credo che invece si dovrebbe.
Non solo il male, no, né soprattutto il male, no, nemmeno.
Quel tanto che basta ad esfoliare la superficie morta della morta superficie.
Perché il male subito sa darti la misura di te, le tue misure: petto fianchi e vita.
Soprattutto vita.
Il gusto di non lasciare fuori niente, di imbrattartici, di conservarne i brandelli tra i denti. Il senso di ogni cosa, il suo modo di distorcere e restituire la tua immagine.
Ti fa scoprire strade laterali, sensi unici e vicoli ciechi che non te li saresti mai sognati: utili a volte come scorciatoie, altre per tirare tardi e innamorarti della desolazione accartocciata dei gatti pigri e dei balconi vuoti.
Troppo male può intontire.
Troppo poco intontisce senza meno.
Perché ci ruba stimoli e difficoltà e soddisfazioni.
Domandarsi “perché io?” e non avere in tasca né uno scellino né un pensiero.
Doversi arrendere e trovare nella resa un ottimo compagno di bevute.
Imparare anche questo.
Dire “io” e sentire dove sbatte l’eco.
Diventare i propri migliori amici.
Scoprire il nostro punto di fusione.
Farsi grandi.

venerdì 3 aprile 2009

Il male fatto


C’è gente che per trovarsi s’è cercata in India. Tra i bonzi e gli elefanti, tra il Deccan e il Brahmaputra. E magari non ha risolto niente.
C’è l’altra soluzione, quella facile, evidente, frequentata.
Se cerchi te cerca in te. L’ha detto qualcun’altro, più di qualcuno in verità.
A me l’ha riferito la mia tiepida vita.
Elogio il male fatto, a cui nessuno si sforza di volere un po’ di bene.
Lo faccio perché so quello che dico. Non c’è provocazione. Tutto vero.
Elogio non vuol dire caldeggiare, spingere, invitare, persuadere. Non c’è bisogno. Tutti l’hanno fatto, tutti lo fanno, e spontaneamente.
Elogio vuol dire stacci attento, non lasciare indietro niente, non sottovalutarti: tu stai tessendo storia, la tua storia. Niente di meno.
Lesson one: the pen is on the table.
Lesson two: la vita non si sfugge.
Scegliere di fare il bene, scegliere di fare il male, scegliere di non scegliere. Questo è quanto.
Se hai attossicato, soffocato, lacerato, tradito, mentito, lusingato, simulato, a me gli occhi please, a me gli occhi.
Ecco il tuo peso specifico, la tua umaniorità.
Il disprezzo di sé: un egolitico di prima qualità. Posologia: al bisogno.
Doversi perdonare ci regala un precedente, espande la casistica, ci costringe a fare gli uomini. Anche prima di esserlo davvero.
Riempe le borse degli occhi di vestiti che non metteremo più.
E da quel viaggio notturno nel retrogusto amaro della propria perfettibilità si ritorna differenti. O non si torna.
Capaci di sapere ad ogni istante di quanta carne è fatta l’altrui vita, di provarne tenerezza, di aver voglia e pudore di ninnarla.
Hai preso attenuanti che una volta toccherà a te prestare a chi di turno.
Elogio il male fatto che c’insegna ad amare meglio gli altri, meno noi.