sabato 19 dicembre 2009

Capri


Il vento umido le leccava addosso l’astrakan di Porta Portese, appiccicandoglielo ai lombi vagamente materni, e infilava sotto il bavero rialzato i suoi capelli fini e le parole grosse di qualcuno, da qualche parte, poco lontano.
Il piazzale degli autobus vantava tutte le nouances del grigio nel cemento, nelle pensiline, nel cielo , nell’astrakan di Porta Portese e nei capelli fini; a quell’ora, di sabato, non c’era un Venerdì che venisse a dividere l’aria di tempesta sull’isola pedonale: era la desolazione dell’apocalisse, della fine del mondo feriale.
«Dio te benedice tanta fortuna ammore»
«Non ho spicci»
“Ho bambino amalatto per favore aiuta me grasie”, aggiunge un cartoncino appuntato a mo’ di pass sul suo petto lungo.
Fa per prendersi una Capri, allunga il pacchetto all’altra senza nemmeno guardarla, senza spiegare, così; vede arrivare di tre quarti un fuoco amico che il vento inghiotte; allunga la mano per farsi passare l’accendino e se la sente strappare e squadernare.
«Dice di grande destino»
Legge l’anallfabeta
«Tu hai la mano bello»
«Ah sì?»
«Sì, linea di intelligenza molto lunga e profonda, e pure del successo»
«Mh»
«Non ci crede, eh?»
«Mah»
«Questa è linea della vita, vedi?»
«E che dice?»
«Che tu muori tra tanti anni»
«E quella?»
«Quella è linea dell' amore»
«Ah ... e quella che dice?»
«Che tu sei morta. Da tanti anni»

mercoledì 9 dicembre 2009

La spia


M’ha adocchiata un paio di volte, cercando la polpa delle labbra incastonate tra le rughe d’espressione che i miei trent’anni m’hanno regalato nonostante non li avessi invitati alla festa.
Poi non l’ho più vista, per diverso tempo, e ho continuato ad andare, ad andare, nella beata ignoranza cui le chitarre dei Clash m’avevano ricondotta: quasi fetale.
Nell’oscurità profonda che solo certi pomeriggi invernali riescono a raggiungere il tergicristalli del passeggero m’inteneriva il cuore, così paralizzato e invidioso dell’energica ritmicità dell’altro: lo guardava come una volta, diversi inverni fa, io guardavo elasticizzarsi le gambe della Bouchet.
La notizia più notevole del notiziario delle sei è che sono le sei.
Una speaker graffiante aggiunge i secondi.
Wow.
E non ho il buonsenso di togliermi da davanti gli occhi questa sigaretta, condannata alla verginità dalla pigrizia degli dei che non hanno fulmini per me, che non ho fulminanti per lei.
La testa del sedile non vuol parlare con me, finge di dormire, guarda fuori; io sto al gioco, mi mordo le unghie e le sputo dal finestrino, mentre scivoliamo sotto la pancia di una montagna: le luci ci folgorano a intervalli regolari, gialle ed esagerate come le rose di un amante geloso.
All’improvviso me ne accorgo: lei, la spia, mi fissa, e chissà da quanto, con quell’occhio da insonne infuocato di rimprovero; non voglio abbassare lo sguardo né giocare sporco, e chiudo un occhio anch’io, quello buono. Così tutta la nebbia di questo Dicembre m’entra nell’abitacolo, riduce l’equalizzatore a un filamento bluastro che si muove a spasmi, mentre la prospettiva colloca provvidenzialmente la luce rossa del cruscotto sulla punta della mia centos e io aspiro quell’ora di morte senza avidità.
La spia m’ha tradita, com’è nella sua natura, e abbandonata in quest’area di servizio: mi sdraio nella paura dell’imprevisto, col solito ribaltabile, con l’occhio puntato verso le mille costellazioni che la nicotina ha tracciato sul tettino.
Me le leggevi tu, te lo ricordi? Col dito seguivi le orbite dei miei occhi, premendo un po’ per farmi male, guardandomi cercarti subito dopo nello sfarfallio, venendomi incontro sulla porta della labbra.
A quest’ora ti starai già chiedendo dove sia, perché tardi a tornare, com’è che non c’è niente da mangiare, che me lo sono fatta a fare il cellulare se quando serve non lo prendo mai.
Una lunga pista buia si srotola ai miei piedi come il velo di una sposa sfortunata, vuol essere calpestata dai tuoi passi, ma cadenzati al ritmo di una volta.
E certo che trovarmi mi troverai, e torneremo a casa, e parleremo un poco, e lo racconteremo, e chissà quanti inverni inverneranno prima che tu ti accorga che sono rimasta qui.