giovedì 5 marzo 2009
Raccolta punti
Coi punti del dottore non ti ci danno i premi.
Continuava a guardare questa frase malinconicamente appesa all’uomo morto. Beato lui.
Una spanna e mezza neanche tra un’anca e l’altra. Poca strada da fare, ideale per amanti pigri e insonnoliti.
La voglia di risentirsi mozzare il fiato dal peso di un uomo grave, precipitato dalla cima della montagna di Maometto. Voglia di quelle cose che qualsiasi sala d’attesa terrebbe sulla soglia, nel portaombrelli.
Cose che stanno in tutte le cucine, tra il barattolo del sale e il pane di ieri.
Lo stetoscopio abbandonato, i guanti in lattice accartocciati nel bidone, lo strappo di carta del lettino: tutto molto meno sterile di ...
«Lei può andare»
«Andare?!»
«Sì. Ma torni presto»
«Quando?»
«Tre, quattro giorni, se non ha problemi»
«Posso restare altri cinque minuti? Mi sento così giù e le gambe …»
«È il sangue perso, e certo la paura … sebbene Lei abbia fatto … comunque può restare, può restare»
«Allora grazie»
«Dovere. E mi stia bene»
Le gambe ancora lorde di sangue colato, brune e lunghe e magre e molli, prive dell’incavo dorato della chiglia, rompighiaccio ossuti nel mare artico di quel letto a ore.
Il sangue sotto le bende come polvere sotto il tappeto.
E sotto il sangue il segno. E sotto il segno il male.
La lametta bic ha faticato per divaricare i lembi della carne dura e sana, per squadernare agli occhi attenti il miracolo della violazione e far risalire dalle profondità della ferita la risposta attesa e temuta sopra tutte.
“Qui puoi soffrire”.
Per fortuna.
Perché cominciava a credere e sospettare che lì dove il piacere non arrivava non sarebbe più arrivato niente. E dove si sospetta il niente anche il dolore sembra una gran consolazione.
Proiettato sull’intonaco verde acqua della parete scorreva il loop di quei pochi gesti, indecisi e decisivi. Da lì non si tornava indietro. Più.
Le ore aspettavano in fila, dietro la porta, pronte all’agguato.
Rendersene conto e decidere di andare fa tutt’uno. Ormai bisogna.
Si alza sul gomito sinistro, si abbassa la gonna, si mette una ciocca di capelli magri dietro l’orecchio, e nel farlo sente una ruvidezza che offende e umilia anche quell’istante di resa fiduciosa: fuori dall’estasi del dolore c’è ancora la sua vecchia barba bruna ad aspettarlo.
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non acquisterei mai stipe di granturco da te, sappilo. il tuo essere equidistante da tutta l'umanità come in quarantena malarica è atteggiamento apprezzabile,ma altresi sapere un uomo solo con un ferrero roche in una sala d'attesa di pronto soccorso e li fermo, non gettare avanbraccio a curatela del nocciolato è segno di decadentismo morale.
RispondiEliminamea culpa, mea culpa, mea grandissima culpa.
RispondiEliminalo ammetto: sono una decadente decaduta deceduta ai fini legali.