martedì 30 dicembre 2008

lo struscio sui muri di tufo

Mynchia se lo ricorda eccome il suo nome. E se lo ricordano tutti quelli che la chiamano così. Mynchia. Non come nelle storie ben raccontate.
La colpa originale della solita Eva, la madre che del barrio se ne voleva fregare e se n'è fregata, fregando la figlia.
"Ma allora chiamiamola Maria!"
"Myriam è piùbbello!"
"Ma non ci si chiama nessuno qui"
"Apposta è piùbbello!"
E Myriam fu.
Per una decina d'anni, poi solo Mynchia.
Con le prime polluzioni notturne l'universo dei suoi coetanei aveva preso ad orbitare attorno a quei seni sfacciati nelle magliettine di cotonella, che si intravedevano tra le fibre stirate dall'estremo tentativo di coprirsi.
Grave errore.
Come quello di scrivere "Minchia ti voglio" lungo il muretto del campo sportivo. Saputo che era stato il Falchetto il padre l'aveva abbottato di schiaffi davanti al benzinaio recitando un rosario di "ricchione" e "finocchio" degno del suo pedigree partenopeo.
Il Falchetto aveva pensato bene di rimediare allungando la I in Y.
E Mynchia aveva ricevuto il suo secondo battesimo e quel tocco di esotico che fa il mito.

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